MARIO BORGESE: QUANDO LA PITTURA INTERROGA IL LOGOS.
Una esperienza di speculazione teoretica, tra editoria filosofica e arti figurative

Approntiamo per la prima volta, con questo numero di Chora, uno spazio di approfondimento e di riflessione esplicitamente concernente il rapporto tra filosofia e le arti figurative. In quest’occasione prendiamo spunto dal proficuo connubio inaugurato dell’editore di Alboversorio specializzato in saggistica filosofica, e da Mario Borgese, affermato pittore milanese che ha seguito, durante lo sviluppo della sua carriera, un percorso di maturazione artistica e filosofica che lo ha condotto a confrontarsi con i temi della storia, del mito, del potere. Sono temi che la pittura di Borgese riesce a ricollocare in scenari attuali e antichi al tempo stesso; scenari su cui si proiettano le forme disincantate e astratte dell’esistenza moderna, le quali tratteggiano lo spazio di una polis in cui la politica, con la presenza invisibile delle sue leggi, diviene muta applicazione della violenza sociale.
In particolare con la collana “Studi” diretta da Claudio Bonaldi ed Erasmo Storace, l’editore milanese Alboversorio ha avviato un proficuo rapporto di collaborazione con il pittore, dando vita ad una importante occasione di interazione tra i saperi filosofici e le forme della cultura figurativa. Hans Jonas, Carlo Michelstaedter, Martin Heidegger sono alcuni degli autori ai quali sono dedicati i volumi collettanei ospitati da questa collana; i quadri di Borgese, riprodotti sulle copertine di questi libri, accompagnano lo sviluppo della serie di studi, offrendo una serie di tappe che sono ad un tempo di approfondimento teoretico e di stimolante suggestione visiva. Queste copertine testimoniano l’attuazione di una strategia di convergenza tra la ricerca condotta nelle pieghe ermeneutiche dei testi della tradizione filosofica e l’esplorazione dell’immaginario artistico archeotipico, un immaginario intramato da quei simboli, da quei volti e da quei luoghi che caratterizzano la nostra identità culturale. Mario Borgese intrattiene un rapporto di profonda familiarità speculativa con lo sfondo iconografico del mondo antico: i suoi studi in ambito classicistico e archeologico lo rendono un fine conoscitore del patrimonio che caratterizza l’universo visivo del pensiero occidentale; la sua competenza come studioso di filosofia gli ha consentito di interrogare, ponendosi dal punto di vista dell’invisibile, le forme simboliche degli schemi iconografici caratteristici del nostro passato artistico. Ma l’opera di Borgese non è un tentativo di attualizzare opportunisticamente l’umanesimo classico, operando una forzosa commistione anacronistica tra gli elementi di un presente ultra-tecnologico e le rovine di una sconfinata antichità; non intende neanche diventare la commemorazione nostalgica di un passato monumentale e solenne, al quale qualcuno – romanticamente – potrebbe volersi ispirare, ritenendo di scorgere in esso un rimedio contro l’incombenza della decadenza: La tensione interrogativa che traluce dalle tele di Borgese si nutro piuttosto dall’esperienza maturata percorrendo il cammino della genealogia, attraverso una meditazione rivolta a investigare i modi della presenza del passato mitico in quanto forza operante e viva in noi, come evento negativo di un’assenza incombente che non si estingue mai e che non cessa di esercitare il valore silenzioso e indicibile della su norma; quella perseguita da Borgese è una ricerca che mette alla prova questo gioco semiotico di presenza/assenza nello scenario attuale della nostra cultura, sottolineando la regolarità delle forme simboliche sedimentate nel tessuto palpitante della contemporaneità. I valori della civiltà greca e romana, l’universo allusivo del mito, la situazione aurorale della prima parola filosofica, vengono evocati da Borgese affinché possa esser messo in questione il loro statuto di figure originarie e prime della conoscenza e del pensiero. La pittura di Borgese sembra invitare a scorgere l’ambiguità insita nella duplice genesi delle narrazioni storico-filosofiche e iconografiche, narrazioni che hanno consentito la sopravvivenza, attraverso il logos, della regola di pensiero che conferma la forma della vita razionale, nel getto incessante del suo trasformarsi storico. Questa genesi è duplice, si è detto, perché affonda le sue radici nel terreno di una sterminata antichità e perché, nel contempo, essa proviene proprio da noi, dalla poiesi innescata dai nostri specifici dispositivi allegorici, narrativi, costruttivi, inconsapevolmente mimetici e giustificativi; dal nostro continuo sforzo di riaffermare un’identità ideale nell’esercizio di una ricostruzione infinita del discorso occidentale. L’arte di Borgese rappresenta un’importante occasione per esaminare il funzionamento politico di questo dispositivo mimetico implicato alla base delle familiari dinamiche del pensiero.