riContemporaneo n° 8
Anima, arte, mercato

Mai come ora stiamo vivendo una crisi epocale che ha investito la società globalizzata. In essa il potere dominante è gestito dalle grandi reti di informazione, per lo più americane, che influenzano largamente anche ogni altro aspetto della cultura. Già Marx sosteneva come la cultura fosse espressione della classe dominante e anche l’arte, come momento culturale, non si sottrae a questo dominio. In questo frangente si è affermato il mercato dell’arte di oggi, da cui deriva un’arte di mercato.
Si impone dunque quello che è stato definito il sistema dell’arte in cui l’arte viene piegata alla logica dominante del nostro tempo, sistema che fa si che anche l’artista muti il suo ruolo: non più genio prometeico ma imprenditore di se stesso, gestito, come è stato scritto “da imprenditori della creatività attenti al marketing e al pubblico di clienti”. Insomma l’arte si rivolge per lo più ad un congerie di clienti che la subiscono passivamente.
Hobsbawm ne “La fine della cultura”, accenna come stia scomparendo il nostro concetto tradizionale di arte poiché “l’arte non è più una serie scollegata di creazioni artistiche personali...”“ “ I grandi nomi diventano spot per le multinazionali che operano” in tali settori, relegando il lavoro dell’artista ad un ruolo subordinato e asservito al mercato. Sistema nefasto per giovani che vengono del tutto omologati da questi valori imperanti. Jeff Koons, Damien Hirst , per citarne qualcuno tra quelli più noti ( le cui opere per lo più chiuse nei musei e nelle case di ricchissimi collezionisti) hanno acquisito una autorevolezza mondiale tramite il mercato che ne trae opportunamente i propri vantaggi a scapito della cosiddetta “artisticità”.
Già Walter Benjamin annotava, nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, come nel venir meno di quell’aurea e di quella sacralità, l’opera d’arte si disperda nella sua molteplicità in infiniti luoghi perdendo il suo topos naturale. Dunque la sua capacità di dar corpo a fantasmi rendendoli simulacri o feticci dell’originale. Nella copia tecnicamente costruita l’originale scompare per sempre, perdendo quella “artisticità” che oggi viene smerciata nelle innumerevoli mostre, divenendo merce per un consumo di massa. Prossimità e lontananza svaniscono e lasciano il posto alla semplice e inerte presenza dei prodotti di un supermercato perdendo dunque quella magia e quella verità che le coappartengono. Da tempo sostengo che dovremmo avere con l’arte un rapporto del tutto originale. L’opera d’arte deve dunque possedere quell’incanto, quella misteriosa presenza e lontananza che la caratterizza, legata a suo modo a quell’origine ancestrale della espressività umana legata al senso magico rituale e sacrale dell’esistenza, deve perciò essere abitata da quell’aura che ne custodisce il senso, quell’eidos che apre ad un universo di significati, a quella unicità e a quella autenticità che la contraddistingue, onde instaurare una esperienza di pensiero tale per cui si possa raggiungere il senso delle cose.
Dunque poesia e mistero. Una immagine poetica sfugge alle ricerca di causalità. La novità essenziale di una immagine poetica pone il problema della creatività. Attraverso la creatività la coscienza immaginante si trova ad essere, con estrema semplicità ma anche con estrema purezza, un origine. Lo spazio colto dall’immaginazione non può restare uno spazio indifferente; esso deve essere vissuto con tutte le possibilità dell’immaginazione. La nostra anima è una dimora: essa è davvero un cosmo e al pari del fuoco, dell’acqua, della terra e del dio, ci permetterà di evocare, nel corso della ricerca, bagliori di sogno e attraverso quelli, le diverse dimore della nostra vita che si compenetrano e conservano i tesori della nostra esperienza.

Visualizza l'articolo su: ricontemporaneo.org