MARIO BORGESE - VIAGGIO ATTRAVERSO IL MITO

Nel ciclo recente della sua opera che è un ideale viaggio attraverso il mito Borgese ripropone, come in un gioco della memoria, frammenti della statuaria antica decontestualizzati, bronzi inquietanti dalle orbite vuote, riproponendo dunque il tema della assenza, cui si accompagnano segnali grafici legati al consumo di immagini pubblicitarie; sguardi inquietanti che ci interrogano e mettono in crisi la nostra abitudine a vedere in modo completo o razionalmente esplicativo.

Nei temi precedenti della sua ricerca, non rappresentati in questa mostra, idealmente ordinati in senso storico, il ciclo del “Feticcio urbano” tratta del tema della violenza, della “prevaricazione esercitata nei confronti dell’uomo dalla eredità impersonale dei meccanismi di cui oggi si è dotato” (G.Seveso). Il secondo tema (“Situazioni”) ripropone la metamorfosi di alcuni soggetti storici, ad esempio, quelli di David e di Michelangelo, mostrandone la dimensione drammatica per la violenza e la prevaricazione su di loro esercitata.

Mario Borgese sa che il permanente muta e che la ripetizione è differente e questa differenza la vuole rimarcare calandola nella contemporaneità.

Si tratta di un’operazione complessa in cui si intrecciano molti motivi: le figure decontestualizzate, mute, dipinti di dipinti o di statue, sembrano emergere da un’ epoca mitica poi sconfitta dalla ragione, il leone di pietra è impotente sullo sfondo di grattacieli in vetro acciaio.

La sua è una riproposizione non antiquaria che gioca sull’ambiguità della buona forma e della buona pittura ma con uno sguardo a cui non sfugge la profonda crisi del moderno, dei suoi metodi e modelli interpretativi. Ma non si tratta di una denuncia perché le sue opere si fermano prima ad un livello più radicale laddove si è formata l’idea del mondo e l’uomo si è reso conto di pensare. Non c’è un altrove metafisico anzi, potremmo dire che nei suoi dialoghi muti, nei frammenti silenti egli rappresenta “ lo scacco al logocentrismo della cultura occidentale” (A.Bonito Oliva), quanto di più umano noi riteniamo oggi.

Donde la dittatura della tecnica, l’inautentico, il pensiero unico quale esito attuale di una deriva forse non scontata, forse voluta dall’umanità, come alcuni hanno scritto e molti artisti hanno rappresentato. Mario Borgese attraverso il suo “apparato del tempo” come ebbe a dire Walter Alberti, giunge allo stesse conclusioni.

(Umberto Gavinelli)