riContemporaneo n° 9
Critica, creatività e dissenso

Dino Formaggio, noto studioso, esteta e fenomenologo , già ordinario della cattedra di Estetica presso la Università degli Studi Statale di Milano fino agli anni 90, autore di diversi testi riguardanti la ricerca estetica con M.Dufrenne, affermava, forse con una certa ironia, che “arte è tutto ciò che l’uomo definisce arte”. La situazione attuale nell’epoca della globalizzazione imperante sembra confermare quel detto. La ricerca, nel mondo globalizzato, gestito dalle grandi reti di informazione, dalla finanza, dalle grandi lobby di potere per lo più americane, decide quale debba essere la cultura del nostro tempo, per lo più asservita al capitale, dunque al mercato dell’arte, che esibisce diversi linguaggi espressivi. Dalle performaces alle installazioni, dai video art ai vari giochi multimediali, è tutta una temperie artistica etero diretta piegata alla logica culturale della classe dominante, da cui ricava, tramite il gioco finanziario, motivi di profitto, asservendo l’artista al marketing, dunque omologandolo ad una arte legata ai giochi del mercato.
Le manifestazioni artistiche apparentemente diversificate tra di loro, in realtà omogenee nella loro diversità, mostrano come l’artista, supportato dal binomio mercante-critico d’arte, diviene oggetto per spot di multinazionali che operano in tali settori, producendo per quello, come già da tempo sostiene Jean Clair, non arte, ma mistificazione dell’arte.
Già Hobsbawm, nella “Fine della Cultura” accenna come stia scomparendo il nostro concetto tradizionale di arte, poiché “ l’arte non è più che una serie scollegata di creazioni artistiche personali…”.
Scrive Massimo Recalcati, nella pagina culturale di un noto giornale che, ” la genesi sublimatoria dell’arte...” che dovrebbe invece comportare “una elevazione dell’oggetto artistico alla dignità di una icona, subisce un brusco cambiamento di direzione: dall’elevazione alla degradazione” nel “carattere informe, sensoriale e materiale e tecnologico delle nuove pratiche”… artistiche.
Dunque, non più ricerca dell’assoluto. Il nostro atto di conoscenza dovrebbe, al contrario, essere affidato ad una piena libertà. L’immagine poetica dovrebbe sempre tradursi in un nuovo linguaggio.
Di fatto qui si pone il problema della creatività. Attraverso la creatività, la coscienza immaginante si trova ad essere, con estrema semplicità ma anche con estrema purezza, una originale apertura al mondo.
La vera arte avviene solo nel momento in cui si da voce al silenzio e dunque anche alla tensione verso l’assoluto. Rendere visibile ciò che si nasconde, scriveva Merleau Ponty ne “L’occhio e lo Spirito”, aprirsi al mistero delle cose, per cui si possa instaurare una esperienza di pensiero tale da poter raggiuingere quel mistero e il suo senso.
Da tempo sono scomparse le grandi narrazioni. Cessate le committenze che lo supportavano, privo di riferimenti ideali, l’artista vive oggi una anomia di valori. Mancano purtroppo i presupposti storici affinché si crei un mutamento nel fare arte. Vi è più libertà, oggi, nell’arte come progetto, c’è più veridicità nel design, ove la ricerca è orientata verso contenuti concreti.
Se l’arte e il sapere sono divenuti una particolare forma di merce, fonte di profitto e mezzo di controllo. dove sta la sua legittimità? Solo attraverso il dissenso si produrrà una nuova arte e un nuovo sapere, e forse un nuovo modello culturale.
E’ proprio attraverso il dissenso che possiamo capire come funziona la società nell’era della globalizzazione: una molteplicità di linguaggi la percorrono intrecciandosi e falsificando lo stato dell’arte, con la complicità dei critici e dei mercanti che favoriscono la speculazione e i giochi finanziari.
Dunque, forse solo tramite il dissenso e l’avvento di un nuovo modello di società, acuiremo la nostra sensibilità alle differenze, comprenderemo i paradossi della società globalizzata compiendo su di essa riflessioni e indagini critiche, per poter dunque, poi, costruire nuove proposte di arte e di pensiero.

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