riContemporaneo n° 12
IERI OGGI DOMANI
Dall’arte-denuncia all’arte-merce. Verso quale arte oggi?

IERI, RICORDANDO IL COLLETTIVO DI PORTA TICINESE

Come si sa, il ricordo ha bisogno di lontananze e “ricordare”, come era solito ripetere il mio amato professore di filosofia teoretica Carlo Sini, voleva dire “ riportare al cuore“ e al cuore vanno i miei ricordi di quegli anni tragici e cruenti, ma anche anni di impegno etico- politico; anni intensamente vivi dal punto di vista culturale e artistico. Anni “formidabili“, come scrisse Mario Capanna. Parlo degli anni “68–70“ e delle implicazioni anche filosofiche che ne diedero il via e ne derivarono. Penso a “L’uomo a una dimensione“ e ad “Eros e Civiltà“ (v. Marcuse ), ai movimenti studenteschi in Germania (Rudi Dutschke) e Francia ( Maggio francese), alla contestazione che in Italia si concretizzò nelle lotte operaie. Come ci ricorda Lucilla Meloni nel presentare il Progetto Convegno MACRO “Un fenomeno che attraversò gli anni ‘70 fu la nascita di gruppi e collettivi di artisti. Nuclei operativi si formarono su tutto il territorio nazionale. I collettivi lavorarono sulla documentazione e la controinformazione, sulla riappropriazione urbana; documentarono le lotte per la casa e l’autoriduzione, e le denunce contro la nocività del lavoro, si inserirono nel tessuto sociale chiamando i cittadini a partecipare ai lavori, intervennero sul tessuto urbano alterando il segno del quotidiano e, riutilizzando, anche in chiave ludico-ironica, dati provenienti dalla cultura popolare”. Il Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese, di cui io feci parte, fu fondato in quegli anni da Giovanni Rubino: aveva come punto di riferimento la Galleria di Porta Ticinese di cui Gigliola Rovasino ne era la gallerista che, con il poeta Corrado Costa, ne modificò la destinazione aprendo uno spazio alternativo ad artisti politicamente sensibili al problema.
Inizialmente il Collettivo fu composto dagli artisti Giovanni Rubino, dal poeta Corrado Costa, da Gabriele Amadori, Narciso Bonomi, Mario Borgese, Cosimo Ricatto, e Roberto Lenassini, cui in seguito se ne aggiunsero molti altri: Artisti militanti che rifiutavano l’organizzazione capitalistica dello Stato, l’arte intesa come espressione della classe dominante, funzionale dunque al sistema politico ed economico che orientava così culturalmente il progetto artistico. Si aprì dunque il dibattito sul “ruolo dell’artista” come uno dei momenti caratterizzanti il collettivo. Altri momenti caratterizzanti come lotta al potere, furono gli interventi sul territorio (murales, manifesti, montaggi fotografici, pupazzi in polistirolo, sacchi della spazzatura assemblati onde formare un cannone gonfiabile e infine anche quadri: ricordo quello in cui viene raffigurato Agnelli che visita la casa del metalmeccanico e quello sempre dedicato ad Agnelli alla Stazione Centrale di Milano (Agnelli PARTENZE) seduto su una panchina , col bavero dell’impermeabile alzato, di fronte al vagone diretto a Torino, fatto a quattro mani (Amadori, Bonomi, Borgese, Rubino) cui si aggiunse, in seguito Enzo Mari, che intervenne attaccando sul quadro un collage di varie figure femminili. Questi quadri, la cui misura era di 3 X 2 metri, furono esposti alla Quadriennale di Roma e furono acquistati, con nostro grande stupore, dallo stesso Agnelli. Nel 1976 partecipai alla XXXVII Biennale di Venezia con il Collettivo, nella sezione a cura di Enrico Crispolti e Raffaele De Grada “Ambiente come sociale”.
Come accennato, Gigliola Rovasino, su suggerimento di e con Corrado Costa, modificò l’orientamento della Galleria aprendo a possibilità alternative. La tragedia del popolo cileno, come esemplare manifestazione della violenza e della ferocia della repressione fascista, aprì alla possibilità di un intervento politico–culturale che, non solo doveva identificarsi eticamente con la sofferenza di quel popolo, e non solo come gesto di solidarietà, ma anche come tentativo di divulgazione e di sensibilizzazione e presa di coscienza popolare sulla brutalità e modalità di quel colpo di Stato. Con il primo intervento di Corrado Costa, Giovanni Rubino e di Emilio Villa sui “Cartoons for the cause“ di Walter Crane si inaugurò il 18.10.1973 la “Mostra Incessante sul Cile“, cui seguirono moltissimi interventi di artisti noti, quali, tanto per citarne qualcuno, Mauro Staccioli, Alik Cavaliere, Emilio Scanavino , Pino Spagnulo, Nicola Carrino, Paolo Baratella, Tino Vaglieri, Paolo Gallerani, Giangiacomo Spadari, Enzo Mari, e gli artisti e amici Gabriele Amadori e Nino Crociani, purtroppo non più tra di noi. Io vi partecipai con una installazione, un fotomontaggio fotografico su tele emulsionate, dal titolo “Cile, Cile”, che accomunava quelle mani alzate verso il cielo, quell’urlo di quell’uomo scolpito dallo scultore cubista Zadkine come denuncia sulla mostruosità e la ferocia dell’annientamento del paese e della popolazione inerme di Guernica, alla presa con carri armati del Palazzo della Moneda ove risiedeva il governo di Salvador Allende. La mostra divenne itinerante e si concluse con un interessante dibattito che vide protagonisti i critici Mario De Micheli, Raffaele De Grada, Giorgio Seveso e i numerosi artisti partecipanti alla mostra medesima presso la Rotonda della Besana a Milano.

Sempre con riguardo alla Mostra Incessante Sul Cile seguirono poi anche alcuni incontri e seminari tra cui quello presso l’Università di Pavia ove parteciparono all’interessante dibattito i critici Vittorio Fagone, Antonio Del Guercio, Maurizio Calvesi e Achille Bonito Oliva.
Seguirono cicli di mostre a tema: nella stagione ‘77-‘78 vennero organizzati dibattiti ed esposizioni su “La terza r di Barocco“, cui partecipai con l’installazione “La cena in casa di Levi” insieme con Davide Boriani, Bianca Maria Pilat e Tiziano Gazzini, mostra che divenne a sua volta itinerante. Ricordo altri cicli quali “Poetico – Politico“, cui partecipai nel 1979 con una installazione introdotta da Raffaele De Grada e “Sogno e Bisogno”, nel 1980, cui partecipai con una installazione dal titolo: “Threnos” con interventi del musicista e poeta sonoro Giuliano Zosi.
Agli inizi degli anni ’80 la Galleria di Porta Ticinese chiuse; l’attività degli artisti proseguì come “Associazione Culturale collettivo artisti di Porta Ticinese” presso il “Nuovo Spazio Metropolitano”. In questo spazio-laboratorio autogestito intervenni, nel 1983, con una installazione dal titolo “Metamorfosi” introdotta da Bruno Munari.
Si rende ora necessaria, dice la Meloni, una revisione e riflessione critica di quelle esperienze, ormai da tempo rimosse “la cui sfortuna critica” è stata indubbiamente legata anche al contesto storico in cui si sono svolte: la stampa legò quegli anni al terrorismo armato (anni di piombo), e rimosse anche quel momento di grande vitalità e interesse e portatore di nuove idee. Ultimamente qualche interesse, un piccolo risveglio su quegli anni si è manifestato al Palazzo Reale di Milano: nel 2011 fu ordinata una mostra sugli Anni Settanta dal titolo “Addio Anni Settanta”, e due anni fa alla “Permanente“ di Milano è stato riproposto lo stesso tema.

OGGI

Ma intanto la storia è in movimento. Oggi il “Capitale” si è preso il mondo globalizzandolo. Mai come ora stiamo vivendo una crisi epocale in questa società del tutto omologata. In essa il potere, gestito dalle grandi reti di informazione, dalla finanza, dalle grandi lobby, per lo più americane, decide quale debba essere la cultura del nostro tempo influenzando prepotentemente ogni suo aspetto. Già Marx sosteneva che la cultura fosse espressione della classe dominante e anche l’arte non si sottrae a questo dominio. Si afferma il mercato dell’arte che, asservito al “Capitale”, produce un arte di mercato. L’artista, piegato a questa logica, omologato al mercato, è etero diretto da imprenditori della creatività attenti al marketing che, tramite i giochi finanziari ne ricavano motivi di profitto. L’artista, compreso in questo sistema, muta il suo ruolo: non più genio prometeico ma imprenditore di se stesso. L’artista , supportato dal binomio mercante-critico d’arte, diviene oggetto di spot di multinazionali che operano in tali settori producendo, come già da tempo sostiene Jean Clair, non arte ma mistificazioni dell’arte….. Fare arte, tuttavia, come il senso del sacro, resta un bisogno insopprimibile nell’umano. Dunque, al di la delle logiche inglobanti del potere, l’uomo continuerà a tendere al soddisfacimento di tali bisogni esplicando la tensione verso il sacro e la sua attività poietica verso l’arte.

DOMANI

Se un viaggiatore nel tempo potesse tornare dal futuro ad oggi, ci potrebbe raccontare quali accadimenti darà luogo l’oltrepassamento di quella soglia indicata dagli scienziati come punto di Kurzweil prevista per l’anno 2045 (v. Ray Kurzweil fondatore della Singularity University) in cui, secondo previsioni algoritmiche di crescita esponenziale tecnologica, sembra che l’intelligenza artificiale possa superare quella umana. Asimov docet. La Saga dei suoi robot e delle tre leggi della robotica, insieme alle meraviglie del loro cervello “positronico“, già nel secolo scorso anticipava questo possibile scenario futuro. Già, l’intelligenza artificiale! E’ una narrazione che si viene lentamente trasformando in realtà con notevoli implicazioni per il genere umano, quali, ad esempio, il modo di concepire noi stessi e il mondo. E dunque quale futuro per l’arte e quale arte? Quando l’intelligenza artificiale sarà in grado di relazionarsi con noi o addirittura produrre autonomamente arte, sarà necessario pensare o sarà essa stessa a pensare, in tempi per noi inconcepibili, a nuovi linguaggi, ad una nuova teoria etica, ad una nuova teoria delle emozioni e ad una nuova teoria estetica per fare arte. L’avvento della intelligenza artificiale nelle nostre vite porterà l’umano a meglio porsi le questioni fondamentali sulla propria esistenza, oppure ci dovremo rendere conto di aver inconsapevolmente creato una minaccia insormontabile? Come si dice, lo scenario “terminator“ è dietro l’angolo, e oggi non sono poche le menti autorevoli propense a crederlo. Sempre, beninteso, che i sommovimenti che soffiano potenti in questi tempi, già fin d’ora non vengano a precluderci quel domani.
A futura memoria!

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