Borgese è un artista sensibile e solitario che da tempo si dedica, con costanza e passione, a reinterpretare, con molta attenzione al dettaglio, la pittura classica italiana inserendola come un muto e attonito testimone nel contesto di città disumanizzate e in disfacimento.
Ed ecco allora i suoi cicli cavallereschi tratti dalla "Battaglia di San Romano" di Paolo Uccello, il suo "San Giorgio che uccide il drago" tratto dal Carpaccio e ancora, i suoi angeli, vendicatori o pietosi, che si stagliano come quinte teatrali o arazzi mobili che costituiscono una presenza incisiva di una stona e di un passato che non esiste più. O, ancora, quei dettagli ravvicinati di leoni dormienti ai piedi dei pontefici dell'età barocca (il riferimento è al "Monumento funebre di Clemente XIV" del Canova) che sono l'unica presenza rassicurante di fronte a un paesaggio urbano angoscioso e svuotato di emozioni.

E' la sua risposta di artista al mondo contemporaneo, alle contraddizioni e ai disagi della civiltà di oggi, un invito a sopravvivere, grazie alla poesia dell'arte, di fronte alla violenza quotidiana. E le sue tele, in particolare proprio quelle che maggiormente si riferiscono alla città alienata, e di cui restano solo questi frammenti dei passato, affascinano per questo loro messaggio silenzioso e per la pacata armonia che ne deriva, analizzata come attraverso un obiettivo fotografico. Sono istantanee della nostra civiltà che rispecchiano una visione del mondo di oggi non sempre tranquillizzante.

Nicoletta Pallini, "Gioia" – 1992