Dai grandi dipinti di Paolo Uccello e del Carpaccio egli ha tratto dei cicli cavallereschi, "staccando" dalie tele grandi particolari e riportandoli su sagome di legno leggero. Nascono così dei veri e propri arazzi, rigidi, e rigorosi, da appendere a parete, o quinte teatrali da appoggiare o far vivere in maniera eretta e autonoma. Il Rinascimento come "fonte" di ripresa e riproposto in chiave di grande originalità, e il gusto della composizione e del colore lascia trapelare la personalità di un artista per il quale il pensiero della storia, della mitologia, del classico come passato, è alla testa di tutto. Questi affreschi ci paiono più importanti di tante espressioni di oggi: c'è la memoria che ha soppiantato il design, il colore che sembra tratto dalle sfilate degli stilisti, le dimensioni che sono quelle più "umane", l’icea che riprende motivi antichissimi. Si può andare con la mente a vecchi burattini persiani o napoletani, in carta coperta di cera, che venivano “fermati” ad una grande tela di fondo nel movimento che l'artista pensava fosse il migliore. I colori sono gli stessi, la forza espressiva non viene mortificata dall'immobilità (....) La "Battaglia di San Romano" o il "San Giorgio che uccide il drago", sono in fondo espressioni di grande violenza e "ritagliarli" per riproporli come oggetti di uso domestico è, in fondo, una operazione di denuncia, non certo lontana da quella pittura americana del nostro secolo che tanta critica ha saputo accattivarsi. Ecco allora che i grandi cavalli come gli angeli vendicatori o pietosi as- sumono significati che vanno al di là del valore decorativo. C'è poi da aggiungere che nel deserto di Borgese, dottore in filosofia, le vestigia del passato, presente sotto le spoglie di decoro, dovrebbero insegnarci a "leggere" nel presente, per la verità ben poco tranquillizzante.

Antonello Mosca,

"II Corriere della Sera", 4 marzo 1992